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Intervista con -il fu- mons. Bettazzi: Papa Francesco: ha avuto occasione di incontrarlo? «Un paio di volte, a Santa Marta. Una volta concelebrando con lui. Mi sono presentato: “Sono un superstite …Altro
Intervista con -il fu- mons. Bettazzi:

Papa Francesco: ha avuto occasione di incontrarlo?
«Un paio di volte, a Santa Marta. Una volta concelebrando con lui. Mi sono presentato: “Sono un superstite del Concilio”. Mi ha iniettato fiducia: “Un testimone”».

Quale Papa sente più affine?
«Giovanni XXIII, tale la sua umanità. Luciani mi invitò a non turbare la fede della gente. Giovanni Paolo II mi bacchettò: “Si fa presto a scrivere una lettera a Berlinguer, quando non si è vissuto sotto i comunisti”».

Lei testimone del Concilio, accanto a Lercaro di cui fu ausiliare.
«L’11 ottobre 1963 pronunciai l’intervento in favore della collegialità. In idem sentire, di lì a poco, Joseph Ratzinger, teologo del cardinal Frings».

Ma il dopo Vaticano non si caratterizza per la collegialità mancata?
«Purtroppo. Francesco vi sta rimediando grazie ai cardinali che ha voluto al suo fianco. Le remore non sono poche, né lievi: il Vaticano è il governo, il Concilio è il parlamento, i governi, notoriamente, soffrono i parlamenti».

Sarebbe favorevole a un Vaticano III?
«Come lo intendeva il cardinal Martini. Una serie di sessioni tematiche, che durino un mese: la bioetica, il sesso, la collegialità...Francesco, con il Sinodo in due tempi, si avvicina a Martini».


Il Sinodo che si esprimerà, fra l’altro, sulla comunione ai divorziati risposati e sulla condizione omosessuale.
«La comunione: vi sono cristiani ortodossi che, appellandosi al Concilio di Nicea, ammettono persino un secondo matrimonio, nel segno beninteso della sobrietà. L’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che facevano coincidere sesso e decadenza dello spirito. Perché non espressione dello spirito umano? È noto che mi pronunciai in favore dei Dico, il riconoscimento delle unioni civili».

Torniamo al Concilio, al gruppo bolognese: Lercaro, Dossetti, lei. E Giuseppe Alberigo, storico del Vaticano II. Quando morì, sette anni fa, la curia felsinea (cardinal Caffarra) non le permise di presiedere la celebrazione eucaristica. Poté solo concelebrare. Quali le colpe di Alberigo?
«La sua lettura del Concilio: non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità; non il laicato per la gerarchia, ma la gerarchia per il laicato».

Dossetti, un padre costituente. Jemolo rimproverò a Montini di non averlo nominato arcivescovo.
«Montini era un diplomatico, di respiro moroteo. Dossetti lo allarmava».

Jemolo avrebbe voluto vedere vescovo un’anima irrequieta come don Milani, magari a capo della pastorale per gli immigrati.
«Distinguerei tra i pastori e i profeti».

Francesco ha scandalizzato i cattolici «medi» sostenendo che «il proselitismo è una solenne sciocchezza».
«Francesco è latino-americano.
Nel suo bagaglio storico ci sono i nostri antenati che, traversato l’Oceano, non lesinavano l’aut-aut agli indigeni: o diventavano cristiani o venivano eliminati. Le religione è, sia, un affare di coscienza. Cito il Concilio: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”»

«La secolarizzazione del cristianesimo ha un sicuro risvolto positivo: ci ha consentito di arrivare alla democrazia. Vi è chi ha definito la Carta dei diritti dell’uomo il vangelo secondo l’Onu, un ventaglio di principi evangelici laicamente espressi. L’auspicio è che il mondo musulmano compia il medesimo cammino».

tratto da «Comunione ai divorziati e gay, la Chiesa affronti le nuove sfide»

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Il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, una quarantina di padri conciliari hanno celebrato una Eucaristia nelle catacombe di Domitilla, a Roma, chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù.

Dopo questa celebrazione, firmarono il Patto delle Catacombe. I firmatari – fra di essi molti brasiliani e latinoamericani e un unico italiano: mons. Luigi Bettazzi; altri aderirono successivamente al patto – si impegnavano a vivere in povertà, a rinunciare a tutti i simboli o ai privilegi del potere e a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale. Il testo ebbe una forte influenza sulla Teologia della Liberazione, che sarebbe sorta negli anni seguenti. Due dei firmatari e propositori del Patto furono monsignor Hélder Pessoa Câmara e monsignor José Maria Pires.
N.S.dellaGuardia
Ora avrai poco da ridere...