Torino

Aborto, muore in ospedale
dopo aver usato la RU486

Il ginecologo Silvio Viale: "No alle strumentalizzazioni". Il primario del reparto: "Un fatto inspiegabile". E il Ministero manda gli ispettori

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Una donna di 37 anni, A. M., è morta mercoledì sera all'ospedale Martini di Torino dopo che le era stata somministrata la seconda parte dei farmaci previsti per l'aborto farmacologico: l'RU486 e altre sostanze che provocano contrazioni uterine e favoriscono l'interruzione di gravidanza. Dopo un primo tentativo di far ripartire il cuore e dopo il ricovero in rianimazione, la donna è morta nella serata.

Sotto choc medici e ostetriche: "Era tutto regolare, abbiamo effettuato un'ecografia e gli esami sia la prima sia la seconda volta che la signora è venuta qui per l'interruzione. Solo dopo il suo primo malore l'abbiamo sottoposta a un ecocardiogramma che ha rivelato la fibrillazione, e siamo intervenuto per rianimarla". Si tratta del primo caso in Italia di decesso che potrebbe essere collegato all'aborto farmacologico, che ormai dal 2009 rappresenta un'alternativa a quello chirurgico.
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In una conferenza stampa convocata in mattinata dalle autorità sanitarie è stato ricostruito l'episodio. "Il protocollo è stato rispettato nei dettagli - ha dichiarato il direttore sanitario dell'Asl To1 Paolo Simone - dopo la prima somministrazione, lunedì, la signora aveva chiesto di andare a casa, come accade nella quasi totalità dei casi, ed era tornata alle 8,20 di mercoledì. Nessuna controindicazione alla somministrazione, l'unica dichiarazione riguardava un'allergia al lattosio. Si è sentita male alle 12, prima d'una dispnea e vertigini. Poi è svenuta. Si sono registrati dieci arresti  cardiaci prima della morte, alle 22,45 di mercoledì sera".

Il sospetto dei medici è che si sia verificata una embolia polmonare, perché la difficoltà respiratoria accusata dalla donna, associata al dolore accusato all'addome, può far pensare a questo ma al momento l'azienda non ha nessuna certezza sulla causa del decesso. La donna era alla sesta settimana e cinque giorni di gravidanza, all'interno dei parametri stabiliti per legge per l'aborto farmacologico, che può avvenire solo entro la settima settimana. All'ospedale Martini l'anno scorso sono stati 60 gli aborti farmacologici, 300 quelli chirurgici. Venti le somministrazioni quest'anno, dove c'è un solo medico non obiettore.

Sull'accaduto la procura della Repubblica ha aperto un fascicolo afficato al sostituto procuratore Gianfranco Colace. L'autopsia, prevista inizialmente per questa mattina e rinviata a lunedì, cercherà di stabilire le possibili connessioni tra i farmaci e il decesso, che nella casistica mondiale sono stati 25 su oltre un milione e mezzo di aborti eseguiti con questo metodo. La donna aveva già un primo figlio di 4 anni, che sperava di poter andare a prendere all'asilo poco prima di essere colpita dall'attacco cardiaco. Anche il ministero della Salute ha
aperto un fascicolo sul decesso: gli ispettori sono già al lavoro, ed è stata richiesta una relazione sulla vicenda alla Regione Piemonte. In particolare il Ministero ha chiesto la cartella che racchiude tutta la storia della paziente morta "per capire che cosa sia accaduto". "Abbiamo attivato tutta una serie di procedure automatiche di controllo e di verifica. Io non mi pronuncio fino a quando ci sarà l'autopsia", ha spiegato il ministro Beatrice Lorenzin.

Intanto il ginecologo Silvio Viale, considerato il "padre della pillola abortiva" in Italia,
respinge "ogni strumentalizzazione". Viale, che dirige il principale servizio italiano per interruzioni di gravidanza all'Ospedale Sant'Anna di Torino, osserva che sono "decine di milioni le donne che hanno assunto la RU486 nel mondo" e "40.000 in Italia". "L'episodio - aggiunge Viale - ricorda la prima e unica morte in Francia nel 1991, agli inizi del suo uso, che indusse a modificare il tipo di prostaglandina per tutti gli interventi abortivi introducendo il misoprostolo (Cytotec). Sono gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per le IVG chirurgiche, i maggiori sospettati di un nesso con le complicazioni cardiache".

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Viale, nel dirsi addolorato per quanto accaduto, sostiene come sin da ora si possa "affermare che non vi è alcun nesso teorico di causalità con il mifepristone (RU486), perché non ci sono i presupposti farmacologici e clinici. ll mifepristone è regolarmente autorizzato dall'Aifa anche per gli aborti chirurgici volontari del primo trimestre e per le interruzioni terapeutiche del secondo trimestre, per cui le buone norme di pratica clinica prescriverebbero di utilizzarlo nel 100 per cento degli aborti e, se non è cosi, è solo per motivi politici e organizzativi".