Torino

Morta dopo l'aborto, un farmaco "datato" finisce nel mirino

Poco prima della crisi era stato somministrato alla donna il Methergin, un antiemorragico abolito al Sant'Anna per i dolori che causa

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Il Methergin? In molti ospedali non si usa più, come al Sant'Anna, nel centro piemontese dove avviene la maggior parte delle interruzioni di gravidanza e dove questo farmaco è stato da tempo sostituito con il Cytotech, lo stesso prodotto venduto al mercato nero per gli aborti clandestini.

Così, quasi per un tragico caso, tra le pieghe della morte di Anna Maria M., la giovane donna che mercoledì sera ha perso la vita all'ospedale Martini dopo un malore avvenuto subito dopo la seconda somministrazione di farmaci per un aborto medico, emergono tanti punti interrogativi sui metodi più sicuri per interrompere la gravidanza senza ricorrere alla chirurgia. E si apprende che Anna avrebbe accusato il primo malore, la difficoltà a respirare, proprio dopo l'iniezione di Methergin, un farmaco molto usato in ginecologia, almeno fino a qualche anno fa, proprio per ridurre le perdite di sangue: mestruazioni troppo abbondanti, aborti volontari o spontanei, il Methergin "è" la risposta automatica per molti medici, anche se altri non lo usano a causa dei crampi e dei dolori che può procurare. Insieme con le prostaglandine, che vengono somministrate per provocare l'espulsione, il Methergin e il Toradol, somministrato a Anna perché accusava dolore, sono oggi le tre sostanze sulle quali dovranno confrontarsi i medici legali incaricati dell'autopsia e degli esami istologici, e il pubblico ministero Gianfranco Colace al quale è stata assegnata l'inchiesta.

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Ma esiste un protocollo unico, seguito ovunque, che indichi che cosa e come fare quando una donna sceglie l'aborto chimico? La risposta è uno sconfortante "no", almeno secondo Silvio Viale, il medico che si è battuto per applicare questa metodologia in Piemonte e che oggi è tra i massimi esperti in Italia. "Purtroppo  -  spiega Viale  -  l'interruzione volontaria della gravidanza è un intervento che viene studiato pochissimo nella sanità italiana e che rappresenta quasi uno sgradevole obbligo, senza ricerca né aggiornamento in materia. Il primo e finora unico corso di formazione si è tenuto al Sant'Anna l'anno scorso, il protocollo ministeriale dà indicazioni generali e comunque non è obbligatorio seguirlo". Sta accusando i medici del Martini? "No, al contrario: sono sicuro che hanno fatto tutto quanto era giusto. Ma se il collega Alessandro Lauricella (unico medico non obiettore al Martini, ndr) venisse da noi a fare un turno per l'interruzione di gravidanza sarebbe meglio. Da noi 32 ginecologi su 88 non sono obiettori, e 24 effettuano concretamente interruzioni di gravidanza, con turni di lavoro che capitano circa due volte al mese: non si può definire un'emergenza, ma vale lo stesso principio degli altri ospedali, e cioè che sarebbe meglio realizzare gli interventi là dove c'è la casistica più ampia e la qualità migliore".

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Proprio al Martini, ben prima della morte di Anna M., un progetto speciale era stato presentato alla direzione per chiamare un medico esterno a intervenire sulle richieste d'aborto. Domani se ne parlerà anche in Sala Rossa, dove una mozione di Lucia Centillo e Laura Onofri chiede maggiore considerazione per la salute delle donne e interventi per fare fronte all'obiezione di coscienza là dove sono necessari. Intanto l'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, chiede all'ospedale Martini "la scheda di segnalazione e una relazione sul caso al responsabile di farmacovigilanza della struttura in cui si è verificato il decesso, e attende di ricevere tutte le informazioni disponibili per una corretta valutazione". Una prova in più, mentre arrivano gli ispettori ministeriali e si attende l'autopsia, che non c'è nulla di scontato nelle pratiche seguite per l'interruzione volontaria di gravidanza: un intervento frequente ma sul quale mancano ricerca e aggiornamento.