Torino

Morta dopo l'aborto, è polemica sul protocollo "fai da te" degli ospedali

Oggi l'autopsia sulla donna chiesta dalla procura: l'ipotesi più attendibile è un edema polmonare. Denuncia sui farmaci scelti autonomamente dai diversi ospedali: il Methergin era stato ritirato dal produttore nel 2011

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Un’embolia polmonare massiccia, impossibile da fermare. Così è morta, nonostante oltre otto ore di tentativi disperati di rianimarla, Anna Maria M., 36 anni, la prima donna a perdere la vita in Italia dopo un aborto chimico. Oggi, l’autopsia ordinata dalla Procura potrà forse dire di più. Ma intanto è polemica sui farmaci utilizzati nei diversi ospedali, visto che ogni azienda sanitaria decide da sé quali sostanze utilizzare oltre alla RU486, nell’ambito di linee guida internazionali. E, in Italia, si fa ancora ampio ricorso al Methergin, un farmaco che la Novartis ha ritirato dal mercato nel 2011 (somministrato per errore a alcuni neonati aveva provocato reazioni gravi), utilizzato dopo che l’aborto è già avvenuto per contenere l’emorragia.

Silvio Viale, il ginecologo radicale che si è battuto per introdurre l’aborto medico e quindi l’uso della RU486 e dei farmaci successivi, sabato ha spiegato che si tratta di un farmaco ‘discusso’: “Provoca crampi, se ne possono usare altri, io preferisco non prescriverlo anche se è ancora molto usato”. E ha aggiunto: “Come per ogni altro intervento, anche per l’aborto, chirurgico o medico, il rischio zero non esiste. Bisognerebbe studiare di più, invece questa pratica è considerata quasi un fastidio nel sistema sanitario nazionale. Nei mesi scorsi, due donne sono morte, una a Nocera e l’altra da noi a Torino, dopo un raschiamento chirurgico, la prima per un aborto volontario, la seconda in seguito a un aborto spontaneo, ma nessuno ne ha parlato. Ora c’è il caso del Martini, e abbiamo il dovere di approfondire. Ma certo non è stata la RU486 a uccidere quella paziente”.

Il 9 aprile Anna Maria, che viveva col suo bambino di 4 anni in un centro sociale occupato, è entrata all’ospedale Martini alle 7,30 del mattino. Alle 8 le è stato somministrato il Cervidil, una prostaglandina che provoca l’espulsione dell’embrione. Alle 12, dopo aver preso un antidolorifico e mentre le veniva praticata l’iniezione di Methergin prevista dal protocollo dell’ospedale, ha chiesto se sarebbe uscita in tempo per andare a prendere il figlio all’asilo (il protocollo prevede 6 ore di osservazione), e si è rassicurata: sì, ce l’avrebbe fatta. Venti minuti più tardi ha detto “non respiro”, sono arrivate le ostetriche, i medici, l’anestesista e i cardiologi. Ma non c’è stato nulla da fare, e alle 23 Anna Maria se ne è andata per sempre. Proprio nel giorno in cui la direzione dell’Asl aveva risposto sì alla richiesta di far venire un secondo medico, da un altro ospedale, per le interruzioni di gravidanza: al Martini solo un ginecologo non è obiettore.